La Struttura degli alpeggi

La Struttura degli alpeggi

Tratto da "Alpe e alpeggi del Comune di Macugnaga" di Elio Barlocco, Freeman editrice, 2009

Nell'Ottocento, una delle attività, fonte principale per lo sviluppo di un paese di alta montagna, era l'alpicoltura in funzione della pastorizia e dell'allevamento del bestiame e l'agricoltura. Andare all'alpe era una necessità di tutti i proprietari e allevatori di bestiame, in quanto serviva per salvaguardare il fieno nel fondovalle per la stagione invernale.
Alle varie alpe si accede con sentieri in parte in pessimo stato di manutenzione e invasi da cespugli per la maggior parte di ontano bianco (dovuto al fatto del mancato transito periodico del bestiame di grossa taglia), molti non più individuabili e in parte come per l'Alpe Piana, Bill, Burki, Rosareccio, Pedriola, Meccia e Prelobia di Sotto che sono serviti per buona parte da una mulattiera abbastanza funzionale.
Il tipo di costruzione dell'alpe è di un'architettura semplicissima: ricovero temporaneo a basso costo di costruzione, in pietra locale a muro secco e copertura a capanna (due falde). La maggior parte tra le costruzioni sono di altezze appena sufficienti al ricovero delle bovine per le stalle e di altezza d'uomo gli interni dell'alloggio dell'alpigiano. Molte sono addossate alla parete della montagna per la sicurezza contro le valanghe o slavine, in alcune alpe la parete più soggetta ad accumulo neve è rafforzata da un maggior spessore del muro.

Per ogni alpe veniva fissato il quantitativo di bestiame grosso (bovine) e minuto (capre o pecore), cioè "carico normale", in modo tale che su ognuna di essa vi potesse convenientemente pascolare, nel periodo estivo, un congruo numero di bestie. Fu fissato cioè l'erbatico" o "erba" nel quantitativo sufficiente per mantenere una bovina, equivalente a quello di quattro pecore o capre. Possedere un erbatico non significava solo possedere il diritto di mandare una bovina al pascolo estivo dell'alpe, ma anche avere una quota corrispondente della proprietà indivisa del terreno ed eventualmente delle baite e delle casere su di esso costruite. Conseguentemente ne derivava anche il diritto di percepire il frutto, in formaggio, burro e ricotta, ossia l'alpiario", in base al quale poteva essere valutato l'affitto presumibilmente percepibile sulla proprietà dell'alpe. La proprietà dell'alpe era quindi indivisa ed ogni comproprietario o compadrone la possedeva in proporzione dei diritti d'erba e quindi di alpiario acquistati.

Il valore di un'alpe era calcolato in base all'alpiario che poteva produrre e questo era proporzionale al "carico" normale del bestiame che poteva alimentare, ossia al numero di erbatici di cui disponeva. Il moderno abbandono dell'alpe impedisce di comprendere il valore da esso avuto nei secoli. Se ne sta perdendo non solo l'uso, ma anche la memoria.

Le epoche e modalità delle costruzioni di un alpe erano:
1. SCELTA DEL POSTO
in zona pianeggiante non soggetta a valanga o slavina, possibilmente vicino a ruscelli di acqua, usata per raffreddare il locale deposito del latte e formaggio (casera);
2. SCAVO
delle fondazioni ad una profondità idonea, fino ad un terreno il più consistente possibile, la larghezza variava dagli 80 ai 90 centimetri;
3. RIEMPIMENTO
dello scavo delle fondazioni con scaglie (pezzatura cm 3-4) derivanti dalla lavorazione della pietra per la muratura. La fondazione a secco doveva stagnare almeno per un anno, perché il carico della neve provocava l'assestamento del materiale, sempre "a secco". Lavorazione e trasporto a spalla con la kaula: il lavoro veniva eseguito a catena di uomini lungo tutto il tratto intercorrente fra la cava ed il posto della costruzione dell'alpe;
4. ELEVAZIONE
sempre a secco, dei muri perimetrali con un minimo di cm 50 di spessore, lo spessore variava a secondo della quota della costruzione e di eventuale pericolo di valanga. In questo caso il muro è a doppia faccia con interposte sfasciume di roccia e anche di grosse zolle di erba per rendere i muri impermeabili al vento
5. SCALA
costruzione della scala esterna, sempre a secco, per accedere al piano alloggio e lavorazione del latte. La scala era composta da gradoni in massello di pietra lunghi almeno un metro, e ripiano di arrivo formato da una beola ancorata nella muratura;

6. SOPPALCO
formazione del soppalco in tavole di legno dello spessore minimo di cm 6, morsettato o appoggiato alle pareti in modalità diversa. Trasporto dal fondo valle, sempre a spalla e a catena umana del tavolame per il soppalco sopra la stalla. Formazione della muratura, sempre a secco, fino alla quota per la posa della banchina in legno per l'appoggio dei travetti del tetto;
7. COPERTURA
particolare cura veniva usata per la costruzione del tetto, dal quale dipendeva la durata di tutta la costruzione;  trasporto dal fondo valle, sempre a spalla d'uomo e a catena umana, di tutto il legname per la realizzazione della struttura del tetto o delle piode dalla cava in quota fino alla costruzione; montaggio dell'orditura del tetto: i canter venivano fissati al colmo e alla banchina con pioli in legno, con esclusione di chiodi in ferro; trasversalmente alle canter venivano fissati, con pioli in legno, i templari, sopra i quali venivano poste le piode; posa delle piode, partendo dai muri perimetrali (l'economia e la parsimonia dell'alpigiano arriva al punto di utilizzare per il tetto anche piode non completamente piane, nelle quali realizzava due scanalature destinate a raccogliere l'eventuale infiltrazione di acqua meteorica tra piode e piode soprastanti; con l'uso della sega in ferro per tagliare il legno, i templari venivano sostituiti dalle cotiche provenienti dalla squadratura dei tronchi d'albero;
8. FINITURE
posa in opera delle porte in legno: della larghezza di cm 90 quella della stalla al piano terreno e quella dell'alloggio sopra la stalla, di cm 130 per le porte dei fienili: costruzione del pavimento della stalla in beole, con pendenza verso il canaletto centrale per lo smaltimento dei liquami, che convogliava nella fossa realizzata davanti alla porta d'ingresso della stalla stessa; all'interno della stalla vi sono due mangiatoie addossate alle pareti di destra e di sinistra entrando, sono formate di beola in opera a forma di canaletto alte cinquanta centimetri e larghe quaranta, dove veniva messo il fieno nelle giornate di pioggia in cui il bestiame non usciva al pascolo, sul bordo esterno vi è un tronco di pianta con fori del diametro di tre centimetri dove si infila la catena che lega la vacca; i fori sono distanti tra loro circa ottanta centimetri. Nel locale sopra la stalla non esisteva il camino vero e proprio, ma in un angolo vi era una beola delle dimensioni di circa un 1x1 metro dove si accendeva il fuoco per la lavorazione del latte; non esisteva canna fumaria o torrino sul tetto. La caldaia contenente il latte era appesa al "Torre"
9 EDIFICI ACCESSORI
successivamente venivano realizzati il ricovero per il maiale e i vitelli, di dimensioni ridotte rispetto alla stalla delle bovine, l'eventuale piccolo recinto per animali da cortile che rimanevano sempre al chiuso per evitare il calpestio del pascolo e le deiezioni sull'erba nonché il pericolo degli uccelli rapaci. Tutte le costruzioni non avevano finestre.

Ingente l'energia spesa per il trasporto sia del materiale lapideo, che per il legname del tetto. I lavori di costruzione delle alpe avvenivano in un'unica stagione, cioè da maggio a ottobre prima che nevicasse, il tetto doveva essere finito per evitare che la neve col gelo e disgelo sgretolasse i muri a secco. Ciò significa che prima di iniziare la costruzione, il materiale (pietre per la muratura, il legname del soppalco e del tetto, piode di copertura per il tetto), doveva essere tutto accatastato sul posto.

L'alpe normalmente veniva governata da una donna con un bocia, perché gli uomini erano tutti occupati nella miniera dell'oro a Pestarena o a lavorare all'estero. La mungitura delle vacche avveniva due volte al giorno, al mattino presto e al pomeriggio, il latte del giorno precedente, dopo la scrematura per il burro, veniva usato per fare il formaggio in forme tonde dal peso medio di 5 - 6 chilogrammi.
Dopo due o tre giorni di permanenza all'alpe, il formaggio veniva portato a valle, perché la temperatura subiva meno sbalzi e si evitava di danneggiare la stagionatura del formaggio stesso. 
L'alpe veniva caricata a fine maggio fino alla seconda decade di settembre. Le vacche all'alpe durante il cattivo tempo venivano trattenute nella stalla, mentre animali non da latte, pecore e capre venivano lasciati liberi all'aperto. Nelle alpe monticate da bestiame non da latte, non vi era la presenza dell'alpigiano, che comunque periodicamente (di solito una volta alla settimana) si recava all'alpe per controllare se vi fossero bestie ferite o malate.

Nei giorni di cattivo tempo le vacche in stalla venivano alimentate con il fieno raccolto all'alpe.
Nelle casere non c'era nulla di superfluo. Anche se l'arredo era ridotto all'essenziale, c'era tutto il necessario per vivere autonomamente nell'arco della bella stagione. La provvisorietà del soggiorno estivo sembrava proiettarsi su quella della vita umana.
I ricordi rimasti, più indelebili, delle persone anziane di Macugnaga, sono quelli relativi a ciò che si mangiava, a quel tempo, all'alpe: polenta e latte, riso e latte, polenta e formaggio ed un ricordo particolare va alle vacche, che, alla sera, quando rientravano in stalla, occupavano esattamente il posto che era stato loro assegnato il primo giorno di arrivo all'alpe.

Giuseppe Jacchini si ricorda che quando la neve si era sciolta, il Parroco suonava la campana a martello (dan, dan, ...) e tutti gli uomini validi si riunivano in piazza. A ciascuno veniva assegnato un tratto di sentiero che doveva controllare e provvedere alla manutenzione dei danni che il gelo e la neve avessero provocato, in modo da essere sicuro il passaggio per le bovine da latte, che andavano all'alpe.